C. Monet
Dove penso non sono
( J.Lacan- Sem.XV)
Questa frase con cui vorrei introdurre l'argomento di questa riflessione evidenzia una differenza strutturale tra il pensiero dunque la mente (dove penso) e il Corpo (non sono).
Lacan interroga questa questione attraverso la teorizzazione che va sotto il nome di "Stadio dello specchio".
Cosa ci dice lo "Stadio dello specchio"?
L'impatto che il bambino ha con la propria immagine riflessa è una "sensazione" di estraneità, vale a dire che l'immagine che lo specchio rimanda è una immagine sconosciuta, estranea. Solo in seguito la parola dell'Altro genitoriale (o chi per lui) introdurrà una connessione di senso tra quel corpo e l'idea su di esso.
Non c'è dunque fin da subito un rapporto diretto, consequenziale tra la mente e il corpo.
Avere un corpo, riconoscerlo, accettarlo, "incorporarlo" nello spazio mentale con tutti i suoi pregi e difetti è una strada che ogni Soggetto - a partire dallo Stadio dello specchio - deve desiderare di percorrere.
Possiamo affermare che l'"Alleanza" tra la mente e il corpo non è innata, non è costituita ma è costituente cioè è necessario impegnarsi per costruirla.
A questo punto possiamo formulare una domanda.
Cosa significa oggi avere un corpo?
E' l'immagine che lo specchio rimanda corrispondente all'immagine mentale o piuttosto la discrepanza tra i due determina una frattura difficilmente sanabile?
A tutt'oggi l'immagine ideale che i canoni di bellezza propagandano quanto incide su tale frattura tanto da continuare a sentire il proprio corpo come un estraneo?
La non rispondenza allora tra il corpo Reale e quello Immaginario può portare ad un rifiuto o di tutto il corpo o di alcune sue parti e tale rifiuto può sfociare nell'odio.
L'Estraneità, il Rifiuto e l'Odio possono raggiungere vette estreme : l'anoressia e,l'altra faccia della stessa medaglia, la bulimia, ed ancora le automutilazioni(bruciature, tagli) e la grande diffusione dei piercing e dei tatuaggi possono essere le espressioni più evidenti e, per quanto riguarda la psicoanalisi, le più patologiche.
Il fenomeno anoressico/bulimico, per esempio, sta prendendo dimensioni quantitativamente rilevanti e ciò che si registra attualmente è che non riguarda più soltanto le giovani ragazze ma anche i ragazzi, laddove non accettando l'immagine del proprio corpo arrivano fino al punto di lasciasi morire.
Ci si può obiettare che questi fenomeni sono sempre esistiti: il passato ci rimanda casi di grande rilevanza da S. Teresa D'Avila a Santa Caterina da Siena e più recentemente tra le bulimiche la Principessa Diana d'Inghilterra, ma la questione sta nell'impressionante aumento di tale sintomatologia.
E' vitale allora interrogarci sui cambiamenti epocali e, tra l'altro, su ciò che può influire, incidere sulla loro diffusione oserei dire quasi epidemica.
Oggi sembra che del corpo l'unica cosa da prendere in considerazione sia la sua immagine : l'immagine da mostrare.
Lo specchio deve rimandare un'immagine e dunque un'esteriorità idealmente senza "pecche", vale a dire quelle che per i canoni di bellezza attuali possono essere considerate delle "pecche".
Tali canoni sono divulgati e propagandati dal mondo del linguaggio delle immagini : la pubblicità, la televisione e così via.
È indubbio che questo fattore visivo, pur non essendo l'unico elemento del fenomeno, ha un rilevante impatto soprattutto su quella che viene definita adolescenza, in quella lunga fase in cui, per i cambiamenti reali del corpo (vedi Adolescenza) si rende necessaria una nuova riformulazione dell'alleanza tra il corpo e la mente.
Il bombardamento visivo a cui i giovani sono sottoposti punta l'accento esclusivamente sul discorso estetico che preclude alla qualsivoglia ispirazione verso una costruzione soggettiva, esclusiva della forma che rispecchi un percorso individuale.
La non alleanza e la sensazione di estraneità, fino al rifiuto del proprio corpo, ha tra l'altro a che fare proprio con modelli immaginari difficilmente raggiungibili ma presentati come vitali al fine di essere accettati, riconosciuti nel mondo.
Il rapporto di estraneità rispetto all'immagine del corpo può permanere nel corso della vita ed essere poi rafforzato da un altro modello ideale vale a dire quello dell'eterna giovinezza.
La non accettazione dell'idea di invecchiamento che lo specchio rimanda e che rimemora ogni volta la questione della relatività della vita e dunque la sua fine è stata ed è ampiamente "sfruttata" dai "venditori dell'utopia del giovane sempre".
Nessuno ha più diritto di invecchiare. Diceva Anna Magnani ad un truccatore che voleva coprirle le rughe: non ci provare perché ogni ruga è parte della mia storia.
Possiamo affermare quanto questo genere di propaganda abbia il sapore dell'evanescenza, dell'effimero, dell'illusione immaginaria che prima o poi è costretta ad impattare con la realtà di un corpo che reclama il diritto di invecchiare.
Ogni genere di intervento è destinato al deterioramento e quando la maschera si sfalda si rischia di dover fare i conti con un vuoto a cui non si riesce a dare un senso.
La maschera oscena omologante con cui i vari personaggi più o meno conosciuti si propongono al nostro sguardo rende ragione della cancellazione delle loro particolarità, delle loro caratteristiche ; per sostenere l'utopia dell'eterna giovinezza si arriva a rinnegare se stessi.
Man mano, però, che la maschera si sfalda e la strada per le "riparazioni" diventa sempre più improponibile ciò con cui si arriva a dover fare i conti sono le manifestazioni sintomatologiche che inevitabilmente il corpo sotto forma di ansia e panico, e la mente attraverso la depressione, mettono in atto.
Si assiste allora alla riproposizione del lacaniano "stadio dello specchio" vale a dire a quell'immagine estranea con cui fin da subito ogni soggetto ha impattato. E se nel tempo e nella storia che lo riguarda non ha proceduto ad una conoscenza, ad una accettazione costruttiva che porta anche verso una fierezza, un orgoglio rispetto se stessi, rispetto i propri limiti, facilmente si rischia di essere fagocitati dal mercato della vendita dell'effimero.
Allora per tornare al titolo con cui ho voluto introdurre questa riflessione, l'alleanza tra la mente e il corpo viene ad assumere quel ruolo fondamentale, imprescindibile se non si vuole "perdersi di vista" e se non si vuole perdere il senso che ognuno vuole continuare a dare alla propria esistenza senza che questa sia manipolata, stravolta da una "superficie" a cui non corrisponde la sostanza che la sostiene.
Dott. Maria Marcella Cingolani