H. Rembrandt
Si può definire l'ansia come uno stato di pericolo che invade tutto il corpo: Freud parlava di "affetto" che segnala un pericolo imminente.
Il fondatore della Psicoanalisi, alla luce dei "DETTI" dei suoi pazienti, arrivò ad individuare nell'ansia, non tanto una questione che aveva fondamento nella realtà vissuta dal Soggetto, quanto un forte disagio interno al Soggetto stesso che si palesava e concretizzava attraverso una serie di sintomi che si localizzavano sul corpo: sudorazione, insonnia, cefalea, dolore alle articolazioni, stato di inquietudine permanente ed altri.
Possiamo attraverso le teorie sviluppate da Freud fare una breve dissertazione sull'affetto "ansia".
Ogni Soggetto cresce e si sviluppa in seno alle relazioni che instaura con l'Altro e in primis con l'Altro genitoriale da cui dipende a lungo per un tempo sia logico che cronologico. Potremmo dire che nella nostra civiltà occidentale questi tempi si sono allungati ulteriormente tanto da creare una difficoltà al distacco sempre più complessa e articolata.
E' sempre più difficile per un Soggetto pensarsi autonomo, accedere ad un desiderio proprio, peculiare. Freud direbbe che è sempre più difficile accettare la castrazione, il limite, la separazione dall'Altro.
Allora ogni evento, se vogliamo anche le azioni quotidiane che popolano l'esistenza, rischiano di "coprirsi" di difficoltà sovradeterminate che mettono alla prova il Soggetto rispetto ad una idea di sé insufficiente, non all'altezza. Troppo spesso si sente l'espressione: "Io non sono capace, io non ci riesco".
Questa idea di incapacità che nasce dal non sapere cosa l'Altro desidera, cosa l'Altro vuole. Nel corso della vita ci sarà sempre un Altro di cui non si sa cosa vuole o cosa desidera, ci sarà sempre un evento vissuto come richiesta da parte di un Altro, ecco allora che scatta l'allarme, scatta l'ansia con tutte le sensazioni che ad essa si accompagnano.