C. Monet
Un giovane chiede al maestro come imparare l'arte della spada. Il maestro fa camminare per settimane il giovane sul bordo circolare di un giardino mantenendo l'equilibrio. Il giovane monaco alla fine chiede se è il momento di usare la spada. Il maestro allora gli fornisce un'ascia e lo invita a tagliare la legna. Passano le settimane e il giovane chiede al maestro il perché di quegli esercizi.
Il maestro spiega che il primo serviva ad esercitare l'equilibrio e il secondo la forza.
Conduce allora il giovane davanti ad un ponte di corda e lo invita ad attraversarlo. Il giovane è preso da paura. Nel frattempo arriva un vecchio cieco che tranquillamente attraversa il ponte.
"Ecco" dice il maestro, "quando avrai lo stesso rapporto con la morte potrai iniziare l'arte della spada".
"L'uomo coraggioso non è colui che non prova paura, ma colui che riesce a superarla"
(N.Mandela – Lungo cammino verso la libertà -)
Il CNR (Consiglio Nazionale delle ricerche) ha condotto uno studio sul consumo degli psicofarmaci nei ragazzi al di sotto dei 19 anni ed è risultato che il 12% ha fatto uso di sostanze per aumentare l'attenzione o il tono dell'umore o ancora per mitigare l'ansia.
In America un quarto dei giovani fa uso di dosi massicce di ansiolitici e anfetamine per poter affrontare gli esami.
La questione sta assumendo proporzioni estremamente rilevanti che non possono essere ignorate e che richiedono per quanto ci riguarda un approfondimento.
Che rapporto hanno a tutt'oggi i giovani con la paura.
Si può dire che la paura è un'emozione che in certe circostanze ci consente di essere attenti nei confronti di situazioni che richiedono un approccio ponderato.
In questo senso potremo pensare alla paura come difesa e dunque considerarla in termini positivi.
Partiamo dal distinguere due modalità riguardanti la paura: la paura simbolica e la paura immaginaria.
Cosa intendiamo con paura simbolica.
Se prendiamo il bambino egli non sa cosa sia il pericolo e quindi potremmo definirlo “spericolato”.
Sarà la parola dell'altro, di solito genitoriale, che lo introdurrà lungo il cammino della conoscenza di ciò che può rappresentare un pericolo e sarà sempre la parola dell'altro che lo avvierà verso il cammino dell'esperienza.
La paura simbolica dunque ha a che fare con il Sapere, con il Conoscere. Attraverso l'acquisizione del sapere il nostro bambino potrà scoprire il limite, diventare consapevole che non tutto è ammesso, non tutto è fattibile e che il limite è un plusvalore e non un disvalore.
Noi umani, non più regolati dagli istinti, non possiamo prescindere dall'acquisire la Conoscenza, la nostra sopravvivenza dipende totalmente da essa: più il Sapere diventa il nostro “alimento “ e più saremo in grado di vivere e affrontare le nostre esperienze.
Sarà il Sapere che ci aiuterà a viverci le nostre paure e a dare ad esse la giusta dimensione.
Per quanto concerne la paura immaginaria partiamo ancora dal nostro bambino.
Possiamo rilevare che il bambino passa dalla paura del buio alla paura degli incubi notturni, dalla paura dell'estraneo alla paura dei primi contatti con il mondo della scuola, alla paura del confronto. Dunque il bambino ha paura di ciò che non riesce a vedere o che vede per la prima volta.
Ciò che potrà mediare queste sue paure sarà ancora la Parola dell'Altro genitoriale, insegnante. Vale a dire la parola di quelli che si prenderanno cura di lui.
Il supporto della parola in quanto dimostrazione di presenza, di contatto, di incoraggiamento, di ascolto sarà la spinta vitale per l'avvio all'esperienza ed alla conoscenza di se stesso.
Qualora risulti carente quella che definiamo mediazione simbolica, vale a dire la mediazione di parola, soprattutto in relazione alle paure che abbiamo definito immaginarie, si può assistere nel tempo a forme di difesa di natura aggressiva che possono sfociare in atti vandalici o di violenza.
Si può altresì assistere nel percorso della crescita, laddove l'impatto con la realtà esterna diventerà sempre più consistente, a forme di evitamento soprattutto in relazione al confronto, quando il confronto viene vissuto nei termini di un possibile fallimento.
Sembra che a tutt'oggi sia molto centrale nella vita dei giovani proprio la paura del confronto.
A quali modelli immaginari attualmente i ragazzi fanno riferimento? Quale IO ideale anima la loro vita?
Ci sembra di poter affermare che gli attuali modelli che la contemporaneità offre siano basati su un'idea di perfezione dell'immagine, senza crepe e senza pecche, puri Narcisi che catturano, difficilmente imitabili ed impossibili da emulare.
Queste immagini di “perfezione” comportano una idealizzazione e come conseguenza una frustrazione tra l'idea della propria immagine e quella del modello con cui volersi confrontare.
La frase che più spesso si sente dire dai giovani è quella di non sentirsi all'altezza: io non sono all'altezza.
Si assiste allora da una parte all'offerta di immagini giubilanti nella loro pseudo perfezione senza crepe ed anche a tutte le offerte in termini di prodotti, diete, interventi plastici e quant'altro e dall'altra all'enorme difficoltà di poter attuare e perseguire tali suggerimenti laddove i risultati non riescono mai a raggiungere quell'ideale immaginario.
Il confronto diventa l'impossibile da sostenere e nel tempo si può assistere ad una deriva verso forme sempre più marcate di isolamento. L'idea di incorrere in forme di perdita nei confronti della propria immagine, di non essere adeguati ai modelli propagandati, rischia di far precipitare il ragazzo in un baratro di angoscia insostenibile.
Troppo spesso allora, di fronte ad una prova sia essa in relazione alla scuola od al lavoro od anche semplicemente nel sentirsi all'altezza dei coetanei per esempio nel corso di uscite in discoteca, si sente la necessità di ricorrere alla sostanza come mezzo di sostegno, come stampella per affrontare l'altro, chiunque esso sia. Tutto pur di evitare la paura, il trauma angosciante del fallimento.
La frustrazione come conseguenza di un'idea di fallimento, di quella che può essere considerata una “figuraccia”, può essere vissuta o percepita come delusione insopportabile, insostenibile rispetto all'immagine ideale, perfetta, integra che si vuole mostrare di se stessi.
>L'idea di un possibile insuccesso o fallimento che potrebbe verificarsi laddove ci si deve mettere alla prova, può venire a rappresentare un impossibile da sostenere in quanto conseguenza di una frattura, una rottura di una idealizzazione che, come sopra accennato, deve restare integra, statica, rigida, non intaccata.
Tutto allora è meglio, pur di non incorrere in questo pericolo.
Molti giovani si rifiutano di continuare la scuola, altri di affrontare la prova finale dell'esame di maturità. Questo per quanto riguarda la scuola ma la paura del confronto può manifestarsi anche con il primo ingresso nel mondo del lavoro od ancora con l'idea di non essere all'altezza nelle relazioni con l'altro sesso.
L'accesso alla costruzione di una propria soggettività non può non fare i conti con le paure siano esse immaginarie o simboliche. La conoscenza e la messa alla prova di sé attraverso le piccole o grandi esperienze nel corso della propria crescita consentono di verificare i limiti e le possibilità, di mettersi alla prova e di considerare eventuali fallimenti come momenti di crescita, momenti elettivi di riflessione su ciò che si sta facendo e sul significato personale che gli si vuole dare.
"Vai verso te stesso" scrive G. Lerner, nel suo libro bibliografico "Scintille".
Vai verso te stesso è il significato che ogni giovane ha il diritto di dare alla propria vita, è il significato più intimo e personale che ognuno si deve come opportunità elettiva, vitale e rispettosa per la costruzione di SE' nel rispetto, nell'attenzione e la scoperta dei propri desideri.
In questo senso le possibili “non riuscite”, i cosiddetti fallimenti, possono rappresentare inciampi costruttivi lungo questo percorso in quanto momenti di riflessione rispetto a ciò che veramente si desidera, la possibilità di rivisitazione della strada intrapresa e se questa è fino in fondo rispondente e consona a se stessi piuttosto che un obbligo verso altri a cui si vuole dimostrare la propria capacità.
Interrogarsi sulle esperienze, sulle prove soprattutto quando le si vive come fallimentari viene ad essere l'unica strada per la costruzione di ogni soggetto.
Il rifiuto dell'esperienza o la possibilità di affrontarla unicamente attraverso il sostegno della “sostanza” non permetterà mai di prendersi in carico la propria vita, di fare i conti con le proprie responsabilità. Non permetterà mai di capire se il risultato qualsiasi esso sia nei confronti di una prova scaturisce dal soggetto quanto piuttosto da quel “prodotto” che viene a prenderne il posto.
Dott. Maria Marcella Cingolani