C. Monet
A forza di vedersi, non si può più stare senza vedersi.
J: Rousseau "Discorso sull'origine della ineguaglianza fra gli uomini"
Si può a tutt'oggi parlare, per quanto concerne la nostra società, soltanto in termini di "Società depressa" ( vedi Roudinesco) o piuttosto si sta andando verso una società Perversa?
Voyeurismo (guardare) ed esibizionismo (mettersi in mostra) possono essere le uniche prospettive, le uniche finalità a cui il linguaggio delle immagini sta orientando questa nostra Società?
L'imperativo dominante sembra essere " sono visto dunque esisto": dal paradigma di Cartesio "Penso dunque sono" al " Sono visto dunque esisto".
Trasparire: il nostro vocabolario riporta il significato di portare alla luce, mostrare, rivelare.
Parlando in termini freudiani potremmo sostenere che l'imperativo dominante a tutt'oggi è invece "Apparire". Ciò che fa da padrone è la pulsione scopica, vedere ed essere visti è il mezzo, è l'utilizzo della trasparenza: più spoglio la mia intimità, il mio essere, più mi faccio oggetto della vista altrui e più sento di poter esistere.
Sembra che la deriva a cui si va incontro sia quella della convinzione che soltanto dall'essere visto possa scaturire la garanzia ai fini dell'esistenza.
A suo tempo Lacan evidenziava l'importanza del tempo logico, vale a dire di quel tempo che permette ad ognuno di pensare, elaborare e trarre conclusioni rispetto ad ogni questione che potesse riguardare l'essere umano.
Divideva così questo tempo logico in tre scansioni: l'istante di vedere, il tempo di comprendere, e il momento di concludere.
Quello che sta avvenendo nell'ipertrofia dello sguardo è l'eliminazione del tempo per comprendere: si passa dallo sguardo alla conclusione, dallo sguardo al movimento.
Questa velocità annulla quello che Lacan definiva "C'è dell'UNO", vale a dire c'è un Soggetto che di fronte a qualsivoglia evento, questione, notizia utilizza il tempo per comprendere, quel tempo che permette un elaborato, una riflessione.
La contrazione tra l'istante di vedere e il momento di concludere elimina l'UNO, tutto rischia di passare attraverso l'emozione immediata eliminando così ogni differenza tra un soggetto e l'altro.
L'Io ideale, l'Io dell'immagine eleva ognuno al rango dell'uguale, tutti dunque trasparenti per apparire e quindi tutti uguali.
L'orientamento del linguaggio delle immagini tende ad eliminare qualsivoglia diversità proprio attraverso lo svelamento.
Se la trasparenza si pone come obiettivo di svelare "verità" nascoste ed ha avuto ed ha tuttora un grande ruolo in campo sociale, politico ed economico, la sua degenerazione e la sua deriva risulta essere l'applicazione al campo privato.
In questo senso parliamo di perversione laddove il pubblico entra, come l'occhio del Grande Fratello, penetra e svela ogni più intima questione dell'essere umano: il tutto finalizzato a pochi attimi di apparenza, a pochi attimi che danno l'opportunità di essere al centro della scena.
Il godimento della pulsione scopica, vale a dire di vedere ed essere visto, annulla ogni forma di riservatezza, allora la trasparenza diventa il mezzo unico per soddisfare tale godimento, non più mediato da quel tempo mentale necessario per riflettere sul valore della propria diversità da proteggere.
In questo senso se tutto passa sul versante dell'apparenza, tutto viene svelato: il corpo, la sofferenza, il dolore, la gioia, ogni aspetto più intimo e particolare di ognuno. Tutto quel mondo appannaggio della storia intima e personale di ogni soggetto viene immesso sul mercato per essere esposto allo sguardo.
Gianni Vattimo, più dimezzo secolo fa, già parlava di "Società trasparente".
La globalizzazione della trasparenza, incorporando la particolarità dell'UNO ai fini dell'apparenza, ci sembra abbia azzerato il soggetto. L'eliminazione del "Velo" sul corpo, sul vissuto, sulla storia, sugli affetti, il venir meno di quel tanto di pudore, quella pudicità necessaria che consente di proteggere la propria diversità, hanno massificato l'essere in quanto umano nella sua più intima e profonda unicità.
Se il desiderio, che è ciò che contraddistingue ogni soggetto nelle sue più intime e peculiari aspirazioni e prospettive, viene appiattito solo sul versante di un riconoscimento da parte dell'altro nella forma dell'immagine da mostrare, ciò che ne scaturisce è solo e soltanto una omologazione del desiderio stesso la cui unica finalità risulta essere appunto un appiattimento sulla parvenza dell'immagine stessa, in quell'attimo appannaggio dell'istante di vedere ed essere visti, il tutto per un immediato godimento illusorio della pulsione scopica.
Forse è opportuno interrogarsi su ciò che viene "sacrificato" al godimento dell'apparenza, a quell'IO che impone e che si soddisfa attraverso la maschera da mostrare in tutte le sue forme, anche le più oscene, per attimi di illusoria idea di "Sono visto dunque esisto".
Dott. Maria Marcella Cingolani